Si svolse tra il 23 ottobre e il 3 novembre 1942, durante la seconda guerra mondiale.
A seguito della prima battaglia di El Alamein, che aveva bloccato l’avanzata delle forze dell’Asse comandate dal generale Erwin Rommel, il generale britannico Bernard Montgomery prese il comando dell’Ottava Armata britannica, fino ad allora comandata dal generale Neil Ritchie e, dopo il suo esonero, direttamente dal comandante in capo dello scacchiere Medio Oriente generale Claude Auchinleck, nell’agosto 1942. Il successo britannico in questa battaglia segnò il punto di svolta nella Campagna del Nord Africa, che si concluderà nel maggio 1943 con la resa delle forze dell’Asse in Tunisia.
Nel luglio del 1942 l’Armata corazzata italo-tedesca comandata del feldmaresciallo Rommel, costituita dalla Panzerarmee Afrika tedesca (ridenominazione del Deutsches Afrika Korps) e da due corpi d’armata italiani dei quali uno di fanteria ed uno meccanizzato, dopo la grande vittoria di Gazala e aver costretto la guarnigione di Tobruk (forte di 33.000 uomini) alla capitolazione era penetrata profondamente in Egitto, con l’obiettivo di troncare la vitale linea di rifornimenti britannica del canale di Suez ed occupare i campi petroliferi del Medio Oriente.
In netta inferiorità numerica, indebolito da una catena di approvvigionamento troppo allungata e dalla mancanza di rinforzi, e consapevole del massiccio afflusso di nuovi reparti e mezzi britannici, Rommel decise di colpire mentre il rafforzamento delle truppe britanniche non era ancora completato, indirizzando alle truppe il seguente proclama.
Ma l’attacco del 30 agosto 1942 ad Alam Halfa fallì, e in attesa del contrattacco dell’Ottava Armata di Montgomery, l’Afrika Korps si trincerò.
Tra il 13 ed il 14 settembre, gli Alleati avevano tentato l’operazione Agreement, volta a scompaginare il sistema di rifornimenti dell’Asse, che si era però risolto in un clamoroso fallimento con forti perdite per le forze alleate. Le forze alleate persero varie navi, tra cui l’incrociatore Coventry ed i caccia SikhZulu della classe Tribal a causa dell’efficace tiro delle batterie costiere italiane, e degli attachi aerei sempre italiani . Anche i reparti a terra furono contrastati e ridotti al silenzio dalle truppe presenti, in particolare dai marò presenti nella base di Tobruk. I
Il luogo della battaglia, El Alamein, fu prescelto dagli inglesi per le caratteristiche naturali che si prestavano ottimamente ad una difesa. A circa 60 km dalla costa, e dalla località posta sul mare, si trova la depressione di Qattara, avvallamento con un diametro di circa 300 km la cui profondità raggiunge diverse decine di metri dal livello del mare ed è impraticabile ai mezzi meccanici. Questo eliminava la possibilità di azioni avvolgenti da parte dell’ACIT (Armata Corazzata Italo Tedesca). La località ospitava all’epoca una stazione della linea ferroviaria che collegava la costa fino a Marsa Matruh con Alessandria d’Egitto, permettendo un agevole flusso di rifornimenti alle forze impegnate. Esistevano notevoli campi minati posati in precedenza e rinforzati nel periodo immediatamente precedente. A metà strada dalla costa si erge la cresta di Ruweisat che domina il deserto circostante ed è uno dei pochi rilievi naturali della zona, la qual cosa la rende punto cruciale per il controllo del campo di battaglia; infatti pesanti combattimenti si svolsero già durante la prima battaglia di El Alamein per il suo possesso. Auchinleck l’aveva resa uno dei fulcri del sistema difensivo inglese. Altri rilievi presenti sono la cresta di Miteriya e la collina Kidney. A sud, dove erano schierate in prima linea le divisioni Folgore e Pavia, al limite della depressione di Qattara, si trova la più piccola depressione di Munassib.
Il 23 ottobre 1942, veniva ricevuto a Londra il seguente messaggio proveniente dal Cairo:
La parola ZIP, del cui significato erano a conoscenza il solo Churchill ed Alan Brooke, capo di stato maggiore imperiale, oltre al generale Alexander, era il nome in codice dell’inizio dell’offensiva britannica. Il nome ricordava onomatopeicamente il suono della cerniera lampo dei piloti quando veniva chiusa ed era stato scelto dallo stesso Churchill. La parola ZIP fu utilizzata allo stesso scopo anche in occasione di altre operazioni angloamericane. Dopo sei settimane di continui rifornimenti di uomini e materiali l’Ottava Armata britannica era pronta a colpire; scattava l’Operazione Lightfoot: 200.000 uomini e 1.000 carri armati (ma i numeri variano secondo le fonti) di modello recente, tra cui 270 Sherman americani, guidati da Montgomery si mossero contro i 100.000 uomini e circa 490 carri, 211 tedeschi (di cui 38 Panzer IV dell’Afrika Korps) e 279 italiani di tipo M14/41 e 35 semoventi 75/18; il tutto secondo il solo modo di combattere concepito e sempre perseguito da Montgomery: quello di una preparazione meticolosa di ogni operazione, dove la velocità veniva spesso sacrificata alla eliminazione dei rischi; in effetti, in quel momento gli Alleati avevano il domino dei cieli dovuto alla enorme differenza numerica di velivoli (1.000 caccia e bombardieri moderni, in rapporto di tre a uno rispetto all’Asse), alla vicinanza alle loro principali basi aeree egiziane e alla pressoché illimitata disponibilità di rifornimenti e carburante. Inoltre non dovevano preoccuparsi della minaccia navale della Regia Marina la quale spesso non riusciva neanche a scortare i convogli dei rifornimenti necessari alle truppe o addirittura vi rinunciava.
Infatti, delle 6.000 tonnellate di carburante promesse il 18 agosto dal Comando Supremo italiano, in particolare dal maresciallo Cavallero, non ne erano arrivate che 1.000, con buona parte di esso persa nell’affondamento della petroliera Panuco (1.650 t) e di un’altra, la Sanandrea (con un carico di 2.411 t di benzina), affondata addirittura all’imbocco del porto di Tobruk. Anche la Luftwaffe venne meno all’impegno, preso con Rommel, di consegnare 500 tonnellate di carburante al giorno, e così, al 2 settembre, le truppe tedesche disponevano di una sola giornata di rifornimenti. Ma gli inglesi, che si avvalevano delle informazioni decrittate da Ultra per conoscere i movimenti italiani, decrittando le comunicazioni tra l’ambasciata tedesca a Roma e l’OKW a Berlino, affondarono il 27 ottobre la cisterna Proserpina e poco dopo il trasporto Tergestea; più avanti sarebbe toccato alle cisterne Luisiana e Portofino (quest’ultima con 2.200 t di benzina). Questo rese la mobilità delle truppe italo-tedesche alla vigilia della battaglia assai limitata, di fatto inesistente in uno scenario come quello desertico. Non tutte le fonti concordano però con questa analisi; nell’opera “Le operazioni in Africa Settentrionale Vol. III El Alamein” (in bibliografia), edito dal Centro Studi dell’Esercito Italiano, le perdite dei convogli nel mese di ottobre vengono stimate al 20% per i rifornimenti e al 22% per il carburante, cosa che implica quindi come la sconfitta non possa essere attribuita del tutto alla mancanza di mobilità.
Lo stato di salute di Rommel, già malato, peggiorò al punto di richiederne il ritorno in Germania, e il comando dell’Afrika Korps passò il 22 settembre al generale Georg Stumme, un esperto di truppe corazzate; comunque, prima di rientrare, Rommel passò per Roma a riferire della precaria situazione delle truppe impegnate nel deserto, ma senza risultati di maggiore impegno; disse poi:
Alla data del 15 ottobre, il confronto di forze era quindi di 150.000 uomini per l’VIII armata contro i 96.000 dell’ACIT, dei quali 24.000 tedeschi. Gli aerei e le navi di base a Malta, che non era stata neutralizzata come previsto dall’operazione C3 perché gli aerei necessari a questa ultima eranno stati trattenuti in Africa proprio da Rommel per appoggiare l’offensiva, falcidiavano sistematicamente del 50% i convogli di rifornimenti italiani. In effetti, a causa del rinvio dell’attacco a Malta (poi definitivamente annullato), due reparti d’elite, la divisione paracadutisti Folgore e la brigata paracadutisti tedesca Ramcke, verranno inviati a rinforzare l’armata italo-tedesca. La Folgore era una unità molto addestrata e disciplinata, priva di qualunque mezzo di trasporto e dotata per quanto riguarda l’artiglieria solo di cannoni anticarro da 47mm. La brigata tedesca, reduce dall’aviosbarco di Creta e classificata come 1ª Fallschirmjägerbrigade dalla Luftwaffe, alla quale apparteneva come tutte le unità paracadutiste germaniche, prendeva il nome dal suo comandante (soprannominato sorriso d’acciaio perché aveva una dentiera di quel metallo, avendo perso i denti in un lancio); anch’essa non era motorizzata e si basava molto su quanto riusciva a reperire sul campo, di solito a spese dell’avversario; il suo simbolo era un aquilone con una R al centro.
Di seguito sono elencati gli ordini di battaglia dell’Armata Corazzata Italo-Tedesca e dell’Ottava Armata britannica:
La battaglia iniziò alle 21:00 del 23 ottobre con un sostenuto sbarramento di artiglieria: l’obiettivo iniziale era la Linea Oxalic, che i mezzi corazzati avrebbero dovuto superare per puntare verso la Linea Pierson. Ad ogni modo i campi minati non erano ancora stati completamente ripuliti quando l’assalto iniziò.
Il primo giorno, la forzatura del corridoio a nord si fermò a tre chilometri dalla Linea Pierson, mentre più a sud i progressi furono più consistenti, ma si fermarono sulla Cresta di Miteirya, dove i campi minati non erano stati completamente sgomberati dalla 51ª divisione di fanteria scozzese e dalla 1ª divisione di fanteria sudafricana, che avevano incontrato la forte resistenza della divisione di fanteria meccanizzata italiana Trento e della 164ª divisione leggera tedesca.
Il 24 ottobre, il comandante dell’Asse, generale Georg Stumme (Rommel era in licenza per malattia in Austria), morì per un attacco di cuore e il generale von Thoma prese il comando, mentre a Rommel fu ordinato di tornare in Africa, dove arrivò il 25 ottobre, diramando alle 23:25 alle truppe il messaggio “Ho ripreso il comando della Panzerarmee. – Rommel”.
Gli alleati furono costretti ad abbandonare l’attacco verso sud respinto dagli italiani. Montgomery diresse tutte le sue forze in un attacco verso nord: questo andò a buon fine nella notte tra il 25 e il 26. L’immediato contrattacco di Rommel invece fallì. Gli Alleati avevano perso 6.200 uomini contro i 2.500 dell’Asse, ma mentre Rommel aveva solo 370 carri armati pronti all’azione, Montgomery ne aveva ancora più di 900.
Montgomery sentì che l’offensiva stava perdendo la sua spinta e decise di riorganizzarsi. Ci furono una serie di piccole azioni ma, per il 29 ottobre, la linea dell’Asse era ancora intatta. Montgomery era ancora fiducioso e preparò le sue forze per l’Operazione Supercharge. Le infinite operazioni di disturbo e il logorio causato dalle forze aeree alleate avevano ridotto la forza effettiva dei carri di Rommel a 102 unità.
La seconda offensiva massiccia degli alleati si svolse lungo la costa, inizialmente per catturare il rilievo di TelelAqqaqir. L’attacco iniziò il 2 novembre 1942. Al 3 novembre, Rommel era rimasto con solo 35 carri armati operativi; nonostante riuscisse a contenere l’avanzata britannica, la pressione sulle sue truppe rese necessaria la ritirata. Lo stesso giorno il Feldmaresciallo ricevette da Adolf Hitler un ordine di “Vittoria o morte” che fermò la ritirata; ma la pressione alleata era troppo grande e le forze italo-tedesche dovettero cedere nella notte tra il 3 e il 4 novembre.
Nella notte tra il 3 e il 4 novembre, venne quindi costituita una nuova linea difensiva dalle truppe dell’Asse, con l’Afrika Korps e la 90ª Leggera attestate a semicerchio che andava da Tellel-Mampsra a 16 km a sud della ferrovia che correva lungo la costa. A questo schieramento si incernierava a sud il XX Corpo italiano con la Ariete, la Littorio e quello che restava della divisione Trieste. Ancora più a sud, la brigata Ramcke e il X Corpo italiano, con la Pavia e la Folgore.
Sulla cresta di Aqqaqir, durante un furioso combattimento originato alle 2:30 dall’attacco della V Brigata indiana, venne catturato dalle truppe della 1ª Divisione Corazzata inglese il generale von Thoma, comandante dell’Afrika Korps, che uscì illeso da un blindato distrutto dall’artiglieria avversaria, e venne portato al cospetto di Montgomery; più tardi gli verranno attribuite delle dichiarazioni molto polemiche verso Hitler; il comando dell’Afrika Korps passa al capo di stato maggiore colonnello Bayerlein. Nel varco creato dall’attacco irruppero la 1ª, 7ª e 10ª Divisione Corazzata inglese che vennero fermate solo 9 km ad ovest dallo schieramento anticarro, nel quale si trovavano anche i cannoni pesanti FlaK da 88mm, usati spesso come arma anticarro con effetti devastanti. Per quattro ore 300 carri inglesi vennero trattenuti da 30 carri tedeschi mentre a sud la 10ª Divisione Corazzata inglese dotata di carri pesanti M4 Sherman, Grant e Crusader attaccava il XX Corpo italiano con i suoi M13/40. La Divisione corazzata Ariete venne attaccata dalla IV e VII brigata corazzata inglese, e da esse circondata a 5 km a nord-ovest di Bir-el-Abd. Celebre è il messaggio finale (che però viene da alcuni messo in dubbio) ricevuto dal Comando d’Armata alle 15:30: “Carri armati nemici fatto irruzione sud Divisione Ariete. Con ciò Ariete accerchiata, trovasi 5 km nord-ovest Bir-el-Abd. Carri Ariete combattono”. Di questo messaggio esiste un’altra versione, meno plausibile visto che poi una numero superiore di mezzi riuscì a ritirarsi, dal Comandante della Divisione al Comando d’Armata “Ci rimangono tre carri, contrattacchiamo”. Alla fine del combattimento, le perdite italiane furono gravi, ma gli Inglesi pagarono un prezzo altissimo, in uomini e mezzi. Cionondimeno, parte della divisione con il comando, una trentina di carri e parte dell’8º reggimento bersaglieri riuscì a sganciarsi e raggiungere il resto del XX Corpo in arretramento.
La mattina del 4 novembre, il generale Alexander scriveva al primo ministro Churchill:
Molte unità offrirono infatti una caparbia resistenza, come i paracadutisti della Folgore, che si batterono eroicamente per giorni e giorni subendo gravi perdite ed infliggendone al nemico anche di maggiori. Combatterono i corazzati britannici con mezzi di fortuna, quali bottiglie incendiarie e cariche di dinamite, avendo solo oltre a queste pochi cannoni anticarro da 47/32 con poche munizioni. Esaurite anche queste risorse, i paracadutisti si nascosero in buche scavate nel terreno e attaccarono mine anticarro ai mezzi britannici in movimento (i resti della Folgore si arrenderanno solo il 6 novembre e dopo aver distrutto le proprie armi rese inutili dall’esaurimento delle munizioni). L’aviazione dell’Asse, con la distruzione dei suoi aeroporti avanzati ed usurata da continui combattimenti sostenuti in immensa inferiorità numerica, era praticamente inesistente e pertanto la RAF operava senza alcun contrasto in aria, bombardando incessantemente le colonne in ritirata.
Alle 20:50 del 4 novembre, Hitler dava il consenso al ripiegamento. La nuova linea di difesa veniva fissata a Fuka.
Il 4 novembre le forze dell’Asse, non più in grado di opporre resistenza organizzata, iniziarono il ripiegamento; per le divisioni di fanteria italiane, non motorizzate, era preclusa ogni via di fuga ed oltre 30.000 soldati si dovettero arrendere. Molti di più riuscirono però a ripiegare, sia per le capacità tattiche di Rommel, che per l’estrema prudenza di Montgomery, che non voleva cadere vittima di una delle brillanti invenzioni delle quali il suo avversario si era mostrato più volte capace. Probabilmente Rommel sarebbe riuscito a salvare molti più uomini se Hitler non lo avesse dapprima obbligato a resistere sul posto “fino all’ultimo uomo” su una linea di resistenza leggermente arretrata e solo in un secondo tempo gli avesse concesso la libertà di sganciarsi.
Anche le unità tedesche combatterono ai limiti delle loro possibilità ma, avendo le divisioni di fanteria una propria dotazione di mezzi di trasporto, diversamente dalle divisioni italiane, riuscirono a sganciarsi; inoltre la brigata paracadutisti Ramcke, appiedata ed a ranghi ridotti dagli estenuanti combattimenti, riuscì ad assaltare un convoglio britannico ed a procurarsi così i mezzi necessari per lo sganciamento.
Alla fine, la Armata Corazzata Italo Tedesca aveva subito 10.000 morti, 15.000 feriti e 34.000 prigionieri, circa 450 carri armati ed un migliaio di cannoni, anche se le varie stime divergono leggermente (quella più prudenziale riportata nel quadro riassuntivo parla di 30.000 perdite in tutto tra morti feriti e prigionieri). Di certo, quattro divisioni tedesche ed otto italiane avevano cessato di esistere come unità organizzate. Gli inglesi persero 13.560 uomini tra morti, feriti e dispersi, corrispondenti a circa il 10% delle forze schierate. Dei 500 carri messi fuori uso, circa 350 vennero recuperati grazie alle officine mobili ed ovviamente al possesso del campo di battaglia. Andarono persi anche circa 100 cannoni. La capacità operativa della VIII Armata era quindi praticamente intatta. Iniziava l’inseguimento dell’ACIT da parte degli Alleati.
La presenza italiana è ricordata dal grande Sacrario Militare di El Alamein, a Quota 33 sulla litoranea per Alessandria, che raccoglie i resti di oltre 5.200 soldati italiani e 232 ascari libici.
Inoltre poco lontano un’iscrizione, fatta dai bersaglieri del 7º Reggimento il 1º luglio 1942 su un cippo ai margini della strada litoranea a 111 chilometri da Alessandria d’Egitto, riporta una nota frase che ricorda migliaia di italiani caduti in una guerra spesso condotta senza gli adeguati mezzi: «Mancò la fortuna, non il valore».